È diventato oggetto di interesse della cronaca, la sospensione comminata dall’USR della Sardegna alla docente che ha fatto pregare gli alunni in classe.
Il fatto
Gli avvenimenti, riporta la stampa, sarebbero solo gli ultimi e forse non i più gravi, contestati alla docente di un Istituto Comprensivo dell’Oristanese. I media riportano come l’insegnante, il giorno prima delle vacanze dello scorso Natale, fosse supplente in una terza elementare. La docente, nel corso della lezione, avrebbe fatto assemblare dei rosari e recitare delle preghiere. Alcune famiglie avrebbero protestato con il Dirigente per l’accaduto. La sospensione erogata dall’Ufficio Regionale, non contemplerebbe solo il caso in questione ma si riferirebbe anche a una serie di episodi analoghi.
La vicenda è stata oggetto di prese di posizione politiche, spesso strumentali, arrivando fino ad un’interrogazione parlamentare. Sul caso è intervenuto anche il Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che pur difendendo l’operato dell’Ufficio scolastico, ha avviato un’ispezione per verificare la correttezza della procedura.
Il principio di laicità dello Stato
La questione prende avvio dall’analisi del dettato Costituzionale, dal quale si ricava la laicità dello Stato. Tale principio, tuttavia, non è formalmente espresso. La laicità dello Stato è dedotta, in via interpretativa, dall’analisi di numerosi articoli della Costituzione(Artt. 3, 7, 8 e 19). In questo senso è orientata anche la giurisprudenza, soprattutto quella costituzionale, quand’è chiamata a pronunciarsi nel merito.
L’Art. 20 della Costituzione, inoltre, prevede espressamente che le finalità religiose non debbano limitare le attività tipiche dello stato.
Gli atti di culto e i riti religiosi nella scuola pubblica
La laicità dello Stato prevede, conseguentemente, anche quella della scuola pubblica. L’argomento è abbastanza delicato e passibile di interpretazioni, anche contrastati, poiché la laicità scolastica deve saper armonizzare le varie credenze e le non credenze. Proprio per questo motivo, all’interno della scuola, sono ammessi gli atti di culto, ma solo a patto che avvengano in orario extrascolastico. I riti religiosi, inoltre, devono avvenire fuori dalla programmazione scolastica e sempre con la delibera degli organi collegiali e formale comunicazione interna della scuola. Queste indicazioni sono contenute all’interno della nota del MIUR prot. AOOUFGAB/900 del 15 febbraio 2009, conseguente al parere richiesto all’Avvocatura di Stato. Nel caso in questione, quindi, è da considerare se la preghiera può, o meno, essere considerata un atto di culto. L’avvocatura di Stato, su quest’aspetto, è molto chiara: la preghiera, in sé, non è un atto di culto, ma è anche vero che è un elemento tipico di un rito religioso. Per questo motivo deve sottostare alla medesima regolamentazione degli atti di culto e riti religiosi a scuola.
Il profilo di responsabilità
L’Art. 2, comma 1, del Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici, impone al dipendente il rispetto della Costituzione, nell’osservanza della legge e nell’interesse pubblico. Il secondo comma, inoltre, afferma come il dipendente debba impegnarsi: «ad evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione». Ne deriva che, qualora l’Autorità di controllo rilevi un comportamento in contrasto con il Codice di comportamento, sia tenuta ad applicare una sanzione amministrava e/o disciplinare.
Il profilo assicurativo
Le polizze assicurative scolastiche, di norma, escludono le controversie relative a rapporti di lavoro, non ci sarà quindi garanzia assicurativa in questo senso. Qualora la docente, come preannunciato, si rivolgesse al tribunale e il giudice le desse ragione potrà tuttavia, in sede civile, richiedere il risarcimento del danno.
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